Renata Fonte è una martire dei giorni nostri vittima delle ingiustizie e delle prevaricazioni, vizi di una società soffocata dalla corsa al potere e dal tragico individualismo.
Questa donna, vitale e difficile al compromesso, viene uccisa con tre colpi di pistola, la notte del 30 marzo 1984, mentre raggiunge la sua abitazione. Il paese è Nardò, in provincia di Lecce, che, come tutte le realtà del Sud, vive, in quegli anni, patti celati o palesi con il potere centrale e con la malavita organizzata.
E’ proprio l’amore per la sua terra a spingere l’irrefrenabile Renata ad impegnarsi nel sociale ed a difendere dalla lottizzazione e dalla speculazione edilizia il parco naturale di Porto Selvaggio. L’iniziativa condotta dal “Comitato per la salvaguardia del parco naturale di Porto Selvaggio”, capeggiato dalla stessa, crea un gran polverone, sostenuto dai media. Il risultato è l’emanazione dalla Regione Puglia di un’apposita Legge di tutela del parco, ancora oggi vigente.
L’anno successivo la Fonte vince le elezioni comunali, scavalcando un noto personaggio locale, Antonio Soriano, conosciuto come “procuratore di pensioni per finti invalidi”. Oltre ad essere una delle poche donne impegnate in campo politico la Fonte è a Nardò la prima eletta del Partito Repubblicano, in cui essa nutre grandi speranze di rinnovamento, in parte disattese.
La donna viene nominata Assessore alla cultura ed alla pubblica istruzione e mette massimo impegno nel ruolo affidatogli, pur accantonando il “personale”: suo marito e le sue due figlie, convinta com’era che fosse indispensabile trainare il paese verso il cambiamento anche e soprattutto per loro.
La magistratura segue varie ipotesi sul delitto, compie ampie e travagliate indagini e riesce a scoprire il nome degli assassini, tali Domenico My e Marcello Durante, attraverso la testimonianza di un vicino di casa della vittima che riconosce la macchina su cui fuggono. Appare subito chiaro che costoro non sono altro che killer assoldati da progettisti ben più motivati dei due scellerati.
Mentre Soriano, il primo dei non eletti del Pri, si prepara a sostituire la Fonte nel ruolo d’assessore, l’uomo che la stessa aveva contestato sin dalla candidatura in lista e di cui aveva chiesto l’espulsione dal partito perché corrotto e privo di scrupoli, le indagini proseguono e si giunge all’interrogatorio di un pescivendolo, riconosciuto quale tramite tra i killer e i mandanti.
Dalla confessione di quest’ultimo emerge la possibilità che movente dell’omicidio fosse la ferrea opposizione della Fonte alla speculazione edilizia di Porto Selvaggio. Alcune testimonianze rivelano che qualche giorno prima della morte, nelle aule comunali, la donna incontra un uomo che le chiede apertamente di non opporsi alla delibera prevedente l’assembramento nel piano regolatore di 70 ettari di terreno agricolo attigui al cuore di Porto Selvaggio. La Fonte, secondo una possibile ricostruzione, non accetta e minaccia lo scandalo, questa fermezza nel perseguire i suoi ideali probabilmente gli costa la vita.
Tra i principali mandanti c’è lo stesso Antonio Soriano che con alcuni amici avrebbe voluto avviare una speculazione edilizia nella zona del parco naturale in questione con la costruzione di un villaggio turistico.
Giunti a tal punto, come spesso avviene in Italia, le indagini si fermano, in primo grado Soriano e Durante vengono condannati all’ergastolo, gli altri complici devono scontare vari anni di carcere. I nomi dei pseudo-amici di Soriano non verranno mai alla luce, la giustizia non trionfa in pieno, la magistratura non ritiene opportuno continuare le indagini, considerando gli imputati gli unici e soli responsabili.
Termina la vita di una giovane donna la cui unica colpa è di aver creduto nei propri ideali. Carlo Bonino ne ha narrato la vita nel libro “La posta in gioco”, edito da Carmine De Benedittis, dal quale è stato tratto l’omonimo film, egregiamente interpretato da Lina Sastri e Turi Ferro per la regia di Sergio Nasca. Non è un gran film ma è una bella storia, di una donna convinta che tutto doveva essere discusso alla luce del sole e che su questo principio non sarebbe mai tornata indietro. Una storia che fa riflettere e spinge a chiedersi quanto utile possa essere stato il prezzo pagato da Renata Fonte per aver voluto perseguire i suoi ideali con le sole armi dell’onestà e della perseveranza. La risposta non è semplice ma se l’esempio di questa donna non viene dimenticato e riesce ancora a scuotere la coscienza di uno solo di noi il suo sacrificio non è stato inutile. Anna Maria Caputo