Senza fede e ne sacramento
Uscentu, né fede, né sacramentu» (A Ugento né fede né sacramento): è l’espressione cattiva che identifica il paese e i suoi abitanti. L’origine ditale detto è per metà storica e per metà frutto della diceria: si riferisce ad un avvenimento realmente accaduto ad Ugento nel 1739, ma ad esso la fantasia popolare ha aggiunto contorni irreali.
In quel lontano periodo, dunque, nella Curia vescovile di Ugento e nella diocesi regnava il più totale disordine causato da atti di intolleranza e di strapotere del clero verso l’autorità ecclesiastica e verso il popolo. Per ristabilire la giustizia e l’ordine venne perciò affidato a mons. Ciccarelli il difficile compito di sedare la ribellione di Ugento; ma l’arrivo del nuovo presule lungi dal placare le acque, peggiorò ancora di più la situazione.
La scintilla scoppiò quando il vescovo donò alla natia chiesa di Altamura un’enorme campana che era stata commissionata per la cattedrale di Ugento, la cui costruzione era iniziata intorno al 1700. Davanti a questa provocazione, il popolo insorse minaccioso, e cominciarono a verificarsi incidenti così gravi da costringere il vescovo ad abbandonare nottetempo la diocesi ugentina per rifugiarsi a Napoli.
Si racconta allora che mons. Ciccarelli, appena giunse fuori dalle mura all’altezza della chiesa della Madonna della Luce sulla via per Casarano, diede ordine al cocchiere di fermare la carrozza e, scesone, ripulì puntigliosamente le sue scarpe da tutta la polvere per non portare con sé alcuna traccia del paese che lasciava. E prima di ripartire, volgendo l’ultimo sguardo all’indietro, imprecò: «Uscentu, né fede, né sacramentu».
C’è un altro racconto che riguarda gli UgentiIni, messo in giro dai soliti vicini. Un indemoniato fu interrogato da un vescovo su cosa pensasse della gente di Ugento. L’uomo pensò per un attimo, poi, parlando con la sua voce, ma essendo ispirato (così si disse) dal diavolo sentenziò: «Gens uxentina, parum fida, de Deo nunquam devota, et quando est cum te, est contra te, et cum dicit: Ave’, cavci (La gente di Ugento è poco fedele e per nulla devota di Dio, quando è con te, è contro dite, e quando ti saluta, guardati).
La maldicenza (è naturale) non risparmiava nemmeno le donne: «Le fimmene de Ugentu hannu persu lu sentimentu, pe na canna de tione, s’hannu tagghiatu lu megghiu fiuru» (Le donne di Ugento hanno perso il sentimento, per un pezzo di stoffa, hanno barattato il miglior fiore).
Alcuni soprannomi individuali
Anima-te-cane (tipo che durante il fascismo era solito lnflerlre contro i sovversivi con ferocia), Baccàru (o «vaccaru», guardiano di vacche), Buzza-gatti (bacia gatti), Buzarinu (burlone), Capi-te-mortu (testa di morto, cioè calvo), CipilI (dai pochi capelli che aveva in capo), Curciona (donna dal grande sesso), Cricoru-te-I’api (Gregorio delle api), Cuaove (cova uova), Fricula (donna che stava con molti uomini), Gattu-cu-Ii-stlvali (da ragazzo calzava gli stivaloni), Memmànu (marito della «mammana», cioè della Ievatrice), Masipilusu (Tommaso peloso), Picozzu (frate laico), Reuplanu (portava un cappello che sembrava un aeroplano), Scuarciatiauli (squarcia diavoli), Senza-ciafali (senza cervello), Tappajolu (stupido), Totu-te-Ii-zinzali (era impegnato a darla caccia alle zanzare).