Figghi te turchi
Gli abitanti di Otranto sono «figghi te Turchi» (figli di Turchi) per l’ovvio riferimento a quello che accadde – è storia – nel 1480. All’alba del 28 luglio di quell’anno, Otranto si trovò assediata dalla flotta e dalle schiere ottomane sbarcate nella notte; un’armata formidabile, mentre la città non aveva che le sue mura e i cuori gagliardi dei suoi figli, ai quali si aggiungevano appena quattrocento cavalieri e cento fanti. Di fronte ad essi quasi ventimila uomini.
Quando nello stesso giorno dello sbarco, un messo turco si presentò per trattare la resa, l’eroica città rispose ammazzando l’ambasciatore, sbarrando le porte e gettandone le chiavi in mare, in segno di sfida. Tre giorni durò il furioso bombardamento dalle galee ottomane con le artiglierie più potenti e sofisticate che in quei tempi si conoscessero, finchè il nemico, sfondate le mura nei pressi di una porta, fece irruzione nella città. Ma non aveva ancora vinto perché per altri undici giorni dovette continuare a combattere per le strade, nelle case, nelle piazze che gli eroici Otrantini difesero con un coraggio che è diventato leggenda.
L’impari lotta cessò il 12 agosto quando i Turchi divennero padroni assoluti di Otranto, liberi di compiere ogni sorta di scelleratezza. La bellissima cattedrale, una delle più antiche di Terra d’Otranto, trasformata in luogo di bivacco, diventò lo scenario di incredibili nefandezze, come lo scempio del prezioso «mosaico della vita», rovinato dagli zoccoli dei cavalli, o le violenze alle donne, costrette in chiesa ad una sorta di infimo gioco erotico collettivo.
Non pago della vittoria e della violenza, il comandante turco, Achmet Pascià mise in atto il ricatto più infame: agli ottocento Otrantini superstiti offrì la vita se avessero rinnegato la fede cristiana. Nessuno accettò e il 14 agosto incatenati, nudi, le braccia legate dietro la schiena, vennero portati sul Colle della Minerva e lì, ad uno ad uno, vennero decapitati a colpi di scimitarra.
Cadde subito il capo di Antonio Pezzullo, detto poi Primaldo per essere stato il primo a subire il martirio; ma dopo la decapitazione egli si rizzò in piedi e in questa posizione rimase fieramente nonostante che i Turchi lo spingessero per farlo cadere. E così restò fino a che tutti i compagni non furono decapitati. Poi si accasciò al suolo. Uno dei carnefici, di nome Berlabei, sconvolto dal
prodigio, proclamò a gran voce la fede cristiana e con lo stesso coraggio degli Otrantini si accostò al supplizio divenendo anch’egli uno dei martiri.
Mai avvenimento storico, come il saccheggio di Otranto, ha avuto uguale intreccio di verità, fede, mito, leggenda. E da questa tragedia trae origine l’epiteto dato agli Otrantini: proprio in seguito alle violenze subite, le donne divennero madri loro malgrado dei «figghi te Turchi».
Alcuni soprannomi individuali
Cecora (cicoria), Mazzacurta (piccolo pene), Moro (negro), Mpajaséggie (impàglia sedie), Nanu (nano), Pagnotta (pagnotta), Picanéra (pene nero), Pittula (trittella di pasta usata nelle feste di Natale), Sciroccu (scirocco), Tùrcu (turco).
Ed ancora: Brucia, Cepuanu, Chianta, Chinu, Colevera, De l’ostia, latto, LalIa, Minghaaréddhu, MiniIIo, Pinnaticchiu, Sesé.