Bruscia Pajare
Gli abitanti di Matino sono «bruscia-pajare», come dire gente simile al fuoco delle «pajare» che divampa immediatamente, produce una grande fiamma, e poi con la stessa celerità si spegne. Sarebbero dunque passionali, impulsivi, eccessivamente rissosi, ma,, passato il momento del furore, è come se mente fosse mai accaduto.
Il soprannome fa riferimento alla «pajjara» costruzione tipica nel paesaggio rurale di Matino. Essa era un rudimentale riparo dalle pareti spioventi costruite con rami secchi, paglia e soprattutto steli di orzo che, tra le graminacee, è quella che assicura maggiore resistenza. Le «pajare», a differenza di «truddhi», «furnieddhi» e «caseddhi» (casupole di campagna costruite con la pietra che si ricavava dallo scasso del terreno) avevano una durata stagionale. Si costruivano al tempo della mietitura, quando era più facile procurarsi la paglia, e, sino all’autunno, servivano da riparo durante i temporali estivi o per sfuggire alla calura nei momenti del pranzo e del riposo. Di solito sorgevano ai confini della proprietà per sorvegliare più da vicino le piantagioni, ma spesso il loro uso non era effimero (solo un fugace rifugio): esse diventavano una vera e propria residenza estiva per le famiglie dei contadini che vi si trasferivano. Una costruzione che aveva del magico se allora così cantavano:
«Quannu quenzi la pajara, se ne fuce la sacara, se ne fuce larga, larga, e nà, nà, nà tu la tieni e nu la sai» (Quando prepari la «pajara» se ne scappa il serpente – simbolo del male – se ne scappa lontano, lontano, e nà, nà, naà tu ce l’hai e non lo sai).
A fine settembre, i primi freddi consigliavano ai contadini il ritorno in paese e, come per incanto, le «pajare» sparivano: venivano incendiate e di esse rimaneva solo un cumulo di cenere. Da quel momento l’aspetto della campagna cambiava completamente, diventava più triste e solitaria, senza alcuna manifestazione di vita.
Queste rudimentali costruzioni pur nella loro fragilità sono la più forte testimonianza della civiltà contadina, con tutte le sue sofferenze, le sue fatiche, le sue gioie, i suoi dolori, le sue superstizioni. La loro presenza in ogni proprietà dimostrava non solo l’enorme attaccamento della gente alla terra, una terra spesso avara e fatta di pietre, ma anche la genialità dei costruttori che con materiale poverissimo e fragile riuscivano a tirar sù un riparo dalla calura e dai temporali.
Eppure a Matino la «pajara» ha avuto la strana sorte di essere presente sia nel soprannome degli abitanti, «brùscia-paj~re», sia in una strofetta cattiva che i vicini Parabitani spesso ripetevano con intenzioni denigratorie: «Fusciti gente de Matinu, cu ca aggia na pajara dice sempre ca è casinu» (Scappate via dalla gente di Matino che se solo possiede una «pajara» dice che ha un palazzo).
Alcuni soprannomi Individuali
Acu ruggiatu (ago arrugginito), Cacaménnule (caca mandorle; stitico), Canija (crusca), Claddrhùzzu (uccellino), Cristu vecchiu (vecchio Cristo), Curdheddra (piccola corda), Cuttenta caruse (accontenta ragazze), Cuzziddhru (piccola lumaca), Farnaru (setaccio per farina), Fézzu (puzza), Lazzarinu (piccolo Lazzaro), Malutaru (cacciatore di scarafaggi), Mancia Caddhine (mangiatore di galline), Mattùne (mattone), Mbrellaru (ombrellaio), Mmamminieddhu (piccolo e bello come un Gesù Bambino), Mucculone (stupido), Muleddha (piccola mola), Nziddhaca (pioggerellina), Pampùja (piuma, pagliuzza), Patrùddhu (sassolino), Peticurtu (da piccolo piede), Piru (albero dl pero), Pummitoru (pomodoro), Purcidduzzu (dolce natalizio; piccolo e tozzo), Quatara (grande pentola nera), Quattrocchi (occhialuto), Sacara (serpente), Scarcioppula (carciofo), Sciotta (brodo), Senza sangu (senza sangue; indolente, di poco coraggio), Spaliggia (disordinato).