Mangiacane, sona campani
Nonostante i 3.300 anni di storia, gli abitanti di Manduria devono subire tre epiteti: “mangiacáne” (mangiacani), “ccíti pidúcchie” (uccidi pidocchi) e “sona campáni” (campanari) i primi due indicanti condizioni di vita tutt’altro che floride, l’ultimo con due versioni, una realistica l’altra velenosa. Infatti i numerosi campanili delle chiese presenti in città avevano bisogno come dire? che qualcuno li facesse funzionare, e fin qui nulla da eccepire; il significato cattivo sta invece nel considerare quel “sona campáni” non un mestiere, ma un atteggiamento, quello dei Manduriani disposti (cosi giurano i maligni) a inchinarsi all’infinito assumendo la posizione di chi sta suonando le campane. Insomma, come dire un’indole servile.
Che in passato la vita in Terra d’Otranto fosse dura non è un segreto per nessuno, ma proprio per questo molto pochi possono vantare eccessivi fasti trascorsi. La fame e i pidocchi erano una costante; quanto a quel “sona campáni” in versione cattiva sembra davvero di trovarsi di fronte al frutto di antiche invidie. E invidia deve aver fatto a più di qualcuno la messapica Manduria sotto le cui mura in più occasioni si infransero le mire espansionistiche di Taranto che vi mandò tra l’altro a lasciare la pelle Archidamo re di Sparta, figlio di Agesilao. E sempre quelle mura respinsero Annibale e resistettero a lungo a Quinto Fabio Massimo, proprio lui, il Cunctator. Ancora oggi quelle mura potentissime stanno lì a testimoniare antichi splendori non solo bellici. Manduria, infatti, coniava anche monete e questa non era prerogativa di villaggi, e la stessa etimologia, quella più accreditata, del nome attribuisce la fondazione della città ai Fenici. Origini nobili, perciò, e una storia blasonata, costellata anche dalla predicazione di San Pietro che sbarcò proprio qui, a Bevagna, sicchè Manduria fu tra le prime ad abbracciare il Cristianesimo. Ma i Goti prima e i soliti Saraceni dopo interruppero bruscamente i secoli splendenti. 1 Saraceni anzi saccheggiarono la città due volte: la prima nel 924, la seconda 53 anni dopo. Di Manduria non rimasero che le rovine.
Ma i Manduriani non si dettero per vinti, e già un secolo dopo la seconda distruzione saracena le cronache registrano la rinascita della città nello stesso posto ma con un altro nome, Casalnuovo. E con questo nome si ingrandirà di case, monasteri, splendide chiese (e perciò campanili), botteghe fino a quando nel 1789 Ferdinando IV di Borbone concesse alla città di riprendere l’antico nome. Nello stesso secolo Manduria affiancava alla floridezza economica la vivacità culturale, grazie soprattutto all’Accademia dei Riformati che dette un significativo impulso alle scienze, alle lettere e alle belle arti.
Questo patrimonio non è andato disperso, e il livello della città oggi è sotto gli occhi di tutti. Significativa è tra l’altro la presenza di una presti giosa casa editrice, la Lacaita, che da quarant’anni testimonia, proprio da Manduria, un vigoroso impegno civile di marca meridionalistica. Mangiacani, campanari e spidocchiatori? E inevitabile che in 33 secoli di storia i Manduriani abbiano avuto momenti difficili, ma generalizzarli attraverso le ingiurie è quanto meno azzardato.
Alcuni soprannomi individuali
Aciedduspinnátu (uccello spennato, nel senso di uomo povero), Apóni (brontolone), Bacónchi (uomo grasso e tozzo), Ballunáru (millantatore), Bassutitaula (basso di tavolato, piccolo), Battaría (chi spreca un sacco di parole, grida e si agita), Brisébbiu (presepio), Brufícu (fico selvatico), Bruscapiccióni (donnaiolo), Camáscia (anche a Copertino, Tricase e Melendugno: donna brutta o volgare), Campumilla (basso di statura quanto la pianta della camomilla), Canécchia (dal perno che fissa il timone dell’aratro al giogo), Capascáta (testa bruciata), Capiscirrátu (di testa capricciosa), Cardillilicchiu (piccolo cardellino), Caróppa (da “caroppare”, tosare), Cirrátu (dal colore giallastro della pelle), Cilucciuteféra (uomo di piazza, inconcludente), Facciómmìni (barbagianni), Fúffa (fuoco, nel linguaggio del bambini), Giaccustríttu (che indossava giacche strette), Loffiloffi (di peto silenzioso e fetido), Mannúcchiu (covone di grano), Masciáru (stregone), Mienzupuscícchiu (basso, da “poscia”, tasca, letteramente mezza piccola tasca), Muntagnúlu che viene dalle montagne), Occa ti cíuccu (bocca di asino), Paddóni (fico non ancora giunto a maturazione), Panácchia bernoccolo), Pipáru (chi vende pepe), Pipitácchiu (dai peti ragorosi), Razzuíáru (calzolaio),